Privacy, Google stila le linee guida

Sorgente: Privacy, Google stila le linee guida – Il Sole 24 ORE

«Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati». Questo disclaimer appare a fondo pagina a chiunque cerchi su Google.it (e gli altri dominii di Google in Europa) un nome e un cognome che non si riferiscano a un personaggio pubblico. Anche se il soggetto in questione non ha richiesto alcuna rimozione, il disclaimer tutela chi invece lo ha fatto. Effetti della sentenza C 131/12 della Corte di giustizia europea, la sentenza «Costeja», dal nome del cittadino spagnolo che si è appellato per chiedere la rimozione di un contenuto da un giornale e ha ottenuto che ne scomparisse il link nelle ricerche correlate al suo nome e cognome.

Dall’emissione della sentenza (maggio 2014), Google ha ricevuto più di 200mila richieste di delisting, ovvero di rimozione di link relativi a informazioni personali ritenute dal ricorrente irrilevanti o inadeguate. Richieste da valutare caso per caso, ma secondo quali criteri? E con quale procedura? L’azienda di Mountain View si è rivolta a un consiglio di esperti, chiedendo loro di raccogliere le opinioni in una serie di incontri pubblici nelle principali città europee per poi stilare delle linee guida utili a «bilanciare il diritto individuale alla privacy con il pubblico interesse di accesso all’informazione», come si legge nel risultato finale, un report online dal 6 febbraio scorso. I criteri stabiliti nel report per il delisting riguardano: il ruolo del soggetto nella vita pubblica, la natura dell’informazione, la fonte da cui questa proviene e la motivazione di rimozione, il tempo trascorso da quando è stata pubblicata. «Il lavoro che siamo stati invitati a fare, in qualità di esperti indipendenti e in maniera volontaria – precisa a Nòva Luciano Floridi, professore di Filosofia dell’informazione all’Università di Oxford nonché uno degli otto membri del Council –, era aiutare Google su come applicare la sentenza della Corte. Queste erano le regole del gioco. Anche a me sarebbe piaciuto fossero diverse ma la discussione non verteva sul “mi piace/non mi piace” personale». Il riferimento, neanche troppo velato, è alle numerose riserve scritte che accompagnano il documento, tra cui quella del fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales («mi oppongo totalmente a uno status giuridico in cui una società commerciale è costretta a diventare giudice dei nostri più fondamentali diritti come la libertà di espressione e la privacy, senza consentire alcuna appropriata procedura di appello per gli editori le cui opere vengono soppresse»), e quella del ministro federale di Giustizia tedesco, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger («secondo me la richiesta di rimozione deve estendersi a tutti i dominii di Google, non solo quelli europei»).

Due dei punti più controversi del report sono: la rimozione dei link per ambito geografico, che ripropone la questione della sovranità nazionale e sovranazionale nell’era delle reti; il ruolo degli editori, “avvisati” via notifica al webmaster della cancellazione del link, con tutto quello che ciò comporta anche in termini di traffico indiretto al sito. Sul primo tema, per Floridi «mentre gli stati-nazione ci hanno messo due secoli per arrivare a creare le biblioteche pubbliche, rispondendo al monopolio privato dell’editoria, con internet questo lasso di tempo non ce lo abbiamo avuto. I politici non si sono accorti di cosa stava succedendo: il potere giuridico ha abdicato a favore delle aziende e gli sforzi di Bruxelles di recupero del potere in termini di controllo della rete sono scoraggianti, perché la rete è fatta proprio per sfuggire al controllo». Quanto all’introduzione della notifica per gli editori, le linee guida del report concordano sulla necessità di avvisare anche prima del delisting nonché di avere la possibilità di ricorso di fronte a revoche improprie. «Non c’è nessuna legge che dica che Google debba notificare, ma neanche che non possa farlo. Il nostro auspicio è che lo faccia. Anche in questo senso va inteso il discernimento delle fonti su cui si basa uno dei punti del report. Non ci sono novità concrete su questo, aspettiamo l’evolversi del dibattito». Ma non è paradossale che l’Advisory Council for the Right to be Forgotten smentisca in apertura di report l’esistenza di un diritto all’oblio? «Legislativamente, non esiste un diritto a essere dimenticati, la sentenza non elimina l’informazione ma il link all’informazione, se non è di pubblico interesse. Non si parla di un’informazione falsa o diffamante, per quella c’è già il tribunale. Si parla di un’informazione che non rappresenta più quello che si è e che non può essere sempre rigurgitata, oggi che il motore di ricerca è sempre più il modo con cui ci presentiamo agli altri. Nessuno vuole affrontare il vero problema, che è quello della rimozione dell’informazione alla fonte e della rilevanza dell’informazione, che prescinde dal fattore temporale. Se pensiamo alle informazioni non come proprietà ma come parte della nostra identità, la sentenza è un passo sbagliato nella direzione giusta». A prova di disclaimer.

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